LA NOTTE, Elie Wiesel

La notte è un libro autobiografico che racconta la tragica esperienza che coinvolse l’autore e la sua famiglia nel periodo dell’Olocausto nazista.  L’imperativo è la memoria, è non dimenticare.

 Le notti accompagnano i momenti cruciali della narrazione; sono notti tremende come quelle nel ghetto, con la paura della deportazione. Di notte poi avviene il viaggio estenuante e terribile in treno verso il campo di concentramento e così il viaggio finale nella neve dei deportati trasferiti nel cuore della Germania: “Per quanto tempo ancora la nostra vita si sarebbe trascinata da un’ultima notte all’altra?“.

Elie, ebreo quindicenne, studia la bibbia e la legge ebraica con tutti i suoi aspetti mistici e sacri. A sconvolgere la sua vita e quella di Sighet, città della Transilvania, è la conquista nazista e la diffusione dell’odio verso gli ebrei.  Eli viene deportato con il padre e subito separato dalla madre che non rivedrà più. Nei campi di concentramento il ragazzo conosce la sofferenza, la fame, la sete e la disperazione, costretto a subire lo sfruttamento e l’odio e a combattere contro il terrore delle selezioni, della morte perchè “il terrore era più forte della fame” (p.62).

“Ormai non mi ineressavo ad altro che alla mia scodeòa quotidiana di zuppa , al mio pezzo di pane raffermo.. Il pane, la zuppa: tutta la mia vita. Ero un corpo. Forse ancora meno: uno stomaco affamato. Soltanto lo stomaco sentiva il tempo passare.” (La notte, Giuntina, p.56)

In queste condizioni sviluppa sempre più con l’andare del tempo un istinto di sopravvivenza. E’ un viaggio infernale, disumanizzante in cui l’uomo è messo di fronte anche alla vergogna per se stesso, nel momento in cui troppe volte si scopre disposto a rinnegare il padre in nome di un tozzo di pane. Eli però si costringe a non abbandonare mai il padre, a condividere con lui ogni pezzo di pane, fino alla fine.

Io stringevo forte la mano di mio padre. Il vecchio e familiare timore: non perderlo.” (p.102)

I tedeschi, intanto, continuano a subire sconfitte su sconfitte e sono costretti ad indietreggiare verso il centro. Inizia così per Eli e il padre una marcia estenuante, oltre i possibili limiti fisici: da Buma a Gleiwitz, da Gleiwitz a Buchenwald all’interno di vagoni merci. Il padre di Elie si ammala, viene picchiato e sarà proprio una manganellata sulla fronte farlo morire. L’autore ricroda:

La sua ultima parola era stato il mio nome. Un appello, e io non avevo risposto”, (p.109)  Dopo la morte di mio padre nulla mi toccava più“. 

L’arrivo della liberazione di Buchenwald, della fine di quella terribile prigionia non rimuove però il senso di vuoto e di insensatezza. L’uomo che si guarda allo specchio non si riconosce più, così infatti termina il libro:

Dal fondo dello specchio un cadavere mi contemplava . Il suo sguardo nei miei occhi non mi lascia più. (p.112)

Elie Wiesel  (1928-2016) nel 1944 fu deportato ad Auschwitz e Buchenwal. Dopo la guerra si trasferì a New York e nel 1986 ricevette il premio Nobel per la pace.