IN NOME DELLA MADRE, ERRI DE LUCA

ERRI DE LUCA

Ho preso in prestito il titolo di un testo singolare e intenso di Erri De Luca – “In nome della madre” –  per un omaggio alla figura della madre,  in occasione dell’imminente ricorrenza. Nel breve romanzo di Erri De Luca la madre è Maria, resa vera, carne e sangue, una donna impaurita ma forte, forte da sfidare leggi e villaggio senza mai abbassare la testa. Una donna che difende suo figlio.

L’immenso coraggio di questa piccola donna esce fuori, perché è solo grazie a lei che tutto si compie. Perché, se

“in nome del padre si inaugura il segno della croce, in nome della madre si inaugura la vita”.

Erri De Luca non mette in discussione  il sentimento religioso, espone semplicemente i pensieri di una donna che sfida la legge divina degli uomini per far nascere da sola un bambino lontano da casa.  Erri de Luca riesce in poche pagine a descrivere la forza, il silenzio e la difficile accettazione di Miriàm/Maria di un destino che da madre sente implacabile,  al quale non può opporsi, ma solo chiedere che avvenga il più tardi possibile.

Dello stesso autore vorrei proporvi anche una toccante poesia, più personale, dedicata alla madre:

A MIA MADRE

In te sono stato albume, uovo, pesce,
le ere sconfinate della terra
ho attraversato nella tua placenta,
fuori di te sono contato a giorni.

In te sono passato da cellula a scheletro
un milione di volte mi sono ingrandito,
fuori di te l’accrescimento è stato immensamente meno.

Sono sgusciato dalla tua pienezza
senza lasciarti vuota perché il vuoto
l’ho portato con me.

Sono venuto nudo, mi hai coperto
così ho imparato nudità e pudore
il latte e la sua assenza.

Mi hai messo in bocca tutte le parole
a cucchiaini, tranne una: mamma.
Quella l’inventa il figlio sbattendo le due labbra
quella l’insegna il figlio.

Da te ho preso le voci del mio luogo,
le canzoni, le ingiurie, gli scongiuri,
da te ho ascoltato il primo libro
dietro la febbre della scarlattina.

Ti ho dato aiuto a vomitare, a friggere le pizze,
a scrivere una lettera, ad accendere un fuoco,
a finire le parole crociate, ti ho versato il vino
e ho macchiato la tavola,
non ti ho messo un nipote sulle gambe
non ti ho fatto bussare a una prigione
non ancora,
da te ho imparato il lutto e l’ora di finirlo,
a tuo padre somiglio, a tuo fratello,
non sono stato figlio.
Da te ho preso gli occhi chiari
non il loro peso.
A te ho nascosto tutto.

Ho promesso di bruciare il tuo corpo
di non darlo alla terra. Ti darò al fuoco
fratello del vulcano che ci orientava il sonno.

Ti spargerò nell’aria dopo l’acquazzone
all’ora dell’arcobaleno
che ti faceva spalancare gli occhi.